Ascolta l'intervista, al link seguente, al minuto 15:25 ; Intervista di Miranda Cortes a Trans Europe Express
Titolo che forse inneggia al massimo significato della sua stessa natura. Si intitola “Il Coraggio” il nuovo e per molti aspetti primo lavoro personale di Miranda Cortes, musicista italo-francese di stanza a Venezia. Fisarmonicista ma anche compositrice a tutto tondo che trova coraggiosamente una via di libertà, di coraggio appunto: un disco impegnativo, decisamente fuori stilemi e categorie ampiamente riconoscibili. Come lei stessa ci dirà: “Ebbene meglio non definirlo e semplicemente ascoltarlo, spesso le etichette possono allontanare gli interessi, l'ignoto invece potrebbe interessare rendendo le persone disponibili ad esplorare ciò che non conoscono, chissà…” Avanguardia che fa da corona ad una fisarmonica tinta di istinto e fascinazione. Tante le derive che dal classico nascono e puntano in un altrove che, sinceramente parlando, non sono capace di definire. Un disco davvero molto interessante, di ricerca del bello, di innovazione paradossalmente antica.
Possiamo dire che questo è il tuo primo disco ufficiale? Un disco davvero tuo come non è mai stato prima altro?
Si, un disco mio dalla A alla Z con le mie composizioni e la mia direzione artistica, in cui suono sia da solista che insieme ad altri musicisti chiamati per l'occasione come il violoncello, il violino, la chitarra elettrica, un quartetto d'archi, l'elettronica...quindi per quanto mi riguarda è un bel traguardo sul quale ragionavo da qualche anno. Questo lavoro discografico completa gli altri nove cd registrati in precedenza, che considero di gran spessore artistico sia per i musicisti con cui ho registrato che per i contenuti artistici in essi contenuti. Già in alcuni di questi Cd compaiono brani scritti da me come in "Ferme tes yeux" (2007) con il mio quartetto LA Frontera, oppure 'Ndar" (2016) con la cantante Rachele Colombo
Eleonora Fuser la citiamo perché madrina anche del video. La maschera, il tango, l’amore, la seduzione… un disco di prossimità questo, un disco caldo… vero?
Eleonora Fuser è un incontro molto importante avvenuto nel 2020 in una produzione teatrale che ci ha visto coinvolte lei come attrice e la sottoscritta come musicista in scena. Ero una sua fan già da lungo tempo, e in quella circostanza ci siamo conosciute ed apprezzate artisticamente. La sua presenza nel video è incisiva, lei indossa la maschera della Strega e volteggia in una danza rituale molto interessante. Infatti il sottotitolo di “Cortango” è "Il Tango della maschera" che ognuno può interpretare liberamente, di certo il video integrale, molto più lungo del teaser, può farci capire molto di più sul significato di questo brano, che solo tango non è... E tutto il disco è in fin dei conti una grande ricerca guidata da un filo rosso, la trasformazione o ancora meglio la metamorfosi del suono, dove il primo brano acustico "Sempre" evocatore della bellezza lagunare veneziana si collega all'ultimo "La Terre et le Ciel" in cui l'elettronica penetra e trasforma il suono al naturale della fisarmonica e dona un'immagine visiva proiettata in una nuova dimensione
Che poi sembra davvero essere un suono in controtendenza anche ai tempi e alle abitudini: siamo nel tempo delle distanze e delle etichette per confezionare tutto. Io, invece, sinceramente non saprei come definirlo questo disco…
Ebbene meglio non definirlo e semplicemente ascoltarlo, spesso le etichette possono allontanare gli interessi, l'ignoto invece potrebbe interessare rendendo le persone disponibili ad esplorare ciò che non conoscono, chissà... vorrei essere ottimista da questo punto di vista e credere che la semplificazione del pensiero in atto ormai da un bel po' di tempo non coinvolga la maggioranza, e che invece siano molte le persone interessate a darsi da fare per assaporare il Bello. Mi rendo conto di aver prodotto un lavoro fuori dagli standard, ma ho riversato in lui tutto il mio amore per ciò che amo fare da molti anni, suonare e comporre. La mia ricerca come Artigiano dei Suoni significa lavorare meticolosamente in un laboratorio lontano dai riflettori della mondanità, in cui la verità del proprio fare assume il compito di diventare manifestazione del sè e allo stesso tempo dono per il prossimo. La Bellezza delle arti non può che elevare le menti e permette loro di volare lontano, e questo non accade nelle forme standardizzate, dove la ripetizione diventa un mantra meccanico di distrazione, svuotato da riflessioni in ciò che si ascolta.
Dal vivo stai suonando? Ora che si sono riaperte le gabbie ti vedremo anche live?
Magari si, anche se questa non è la mia preoccupazione maggiore in questi tempi abbastanza aridi ... e purtroppo, come ben dici si sono riaperte le gabbie, e pure con il QRCode. Pertanto suonare perché? Dovremmo chiederci ancora una volta: qual'è lo stato dell'Arte oggi? A che cosa serve? A riempire le gabbie? Personalmente ritengo che ad oggi l'arte di strada sia la più onesta da percorrere in questa fase, stare in un contatto vicino con la gente, cercare l'aggregazione sincera delle persone, parlare e scambiarsi i propri pensieri. Ogni opportunità in questa direzione può rappresentare ciò che in questo momento m'interessa di più.
Titolo ambizioso e sicuramente gonfio anche di una certa nostalgia di un giornalismo della vecchia generazione. Eppure volevamo certamente correre parallelamente all’ambizione che ritroviamo dentro un disco come “Il Coraggio”, primo vero ed ufficiale lavoro per la musicista Italo-Francese Miranda Cortes che con la RadiciMusic Records ci restituisce un disco decisamente impegnativo e fuori dai ogni canone, utili riferimenti all’ascolto e all’orientamento per ognuno di noi. La sua fisarmonica la fa da padrona, ma è la forma canzone che cessa di esistere (quasi sempre almeno) lasciando spazio a derive di altro tipo. Un disco pregno di teatro, se mi si concede il lusso di questa visione. Teatro nel concepire il suono, così come nel modo di portarlo in scena (si veda poi il video di “Cortango” con la splendida Eleonora Fuser). “Il coraggio” è sicuramente un lavoro che farà stridere il politicamente corretto e forse non avrebbe tanto da perdere di fronte a titoli così gonfi di scena o a parole ampiamente usurpate come “avanguardia”. Di certo ci si leva le maschere e si vive una libertà compositiva che piano piano sta affiorando dentro tantissime nuove scritture italiane della scena indie.
Un lavoro impegnativo anche dal punto di vista sonoro. Parliamo della produzione. Come l’hai realizzata e vissuta in questo tempo di pandemia?
Il lavoro di produzione è stato un inusuale “adagio”. Da fine agosto 2020 a marzo 2021 sono accadute numerose peripezie legate alle restrizioni insensate che si succedevano di mese in mese, alle quali ho dato un senso grazie al mio estro creativo e alla mia capacità di adattamento all’inaspettato, forte di avere la direzione artistica di tutto il lavoro.
Che poi molto di questo suono, immagino, debba nascere dal vivo o comunque da una ripresa in diretta o sbaglio?
In questo caso no, desideravo lavorare sul suono perché questo lavoro è nato sulla ricerca del suono, vedi Cortango, in cui la seconda parte è pura sperimentazione, oppure l’intreccio degli assoli tra la chitarra e la fisarmonica in Il Treno; la prima e l’ultima composizione, Sempre e La Terre et le Ciel, rappresentano rispettivamente la presentazione di quello che accadrà nell’album e l’inizio di quello che accadrà in futuro. Pertanto il lavoro in studio sul suono è stato fondamentale.
Parlaci dell’elettronica del disco: come l’hai scelta e come l’hai utilizzata?
L’incontro con il compositore Simone Faliva è stato determinante per realizzare questa parte del lavoro discografico. Ho da subito apprezzato la sua produzione musicale, fortemente incentrata sulla musica elettronica, e non potevo non proporgli di realizzare un brano insieme. Inoltre, ho affidato a lui la cura del suono e le fasi di lavoro per la realizzazione dell’album presso il suo studio di registrazione “Oscillazioni”
Tanta sperimentazione, molti parlano anche di psichedelia… tu come ti rapporti a queste direzioni? Ti senti un’artista psichedelica?
In generale evito le definizioni… personalmente mi sento un Artigiano dei Suoni e lavoro nel mio laboratorio con meticolosità e tanta voglia di fare ricerca. Tuttavia in Cortango, La Terre et le Ciel, Valse Lunaire, Sempre e Il Treno sono presenti dei momenti in cui ho sperimentato, anche in modo folle, i colori della gamma sonora e i diversi timbri strumentali. Non rinnego l’influenza della musica contemporanea nella mia scrittura in particolare lo studio di Sofja Gubaidulina, che ha probabilmente inciso sulla mia concezione sonora nelle virate compositive presenti nell’album.
E quando parliamo di “pop” molti storcono il naso. Sono forme consuete e io le ho ritrovate anche dentro questo disco. Tu cosa ne pensi?
La scrittura pop degli ultimi anni è, fatta eccezione rari casi, uno standard frutto di calcoli fatti a tavolino e, in quanto tali, facilmente riconoscibili e replicabili. Direi che nel mio lavoro è presente una “pillola” pop in Le Tarn, che fa riferimento al secondo Novecento, periodo in cui questo genere di musica si caratterizzava da arrangiamenti di qualità, che hanno lasciato un segno nell’immaginario collettivo. Non a caso ho volutamente deciso di fare un omaggio all’insuperabile cantautore francese Jacques Brel, la cui musica era densa di arrangiamenti davvero straordinari.
Un altro video in arrivo? Come ti rapporti a queste forme tutt’altro che coraggiose di espressione? Forme ormai doverosamente omologate in questo tempo…
Ad oggi ho realizzato un solo video, “Cortango”, e in effetti dovrei recuperare il tempo perduto e dedicarmi a girarne di nuovi, quindi non disdegno la possibilità di utilizzare questa forma artistica, considerando che la teatralità fa parte del mio stare nella musica da sempre. In ogni caso il video integrale di “Cortango” (da non confondere con il teaser) ha visto la speciale partecipazione di un’attrice istrionica, Eleonora Fuser, Maestro della Commedia dell’Arte veneziana e della Maschera, che in questa occasione indossa la maschera della Strega, trasformando “Cortango” nel Tango della Maschera.
Ritroviamo Miranda Cortes che avevamo presentato in anteprima su Extra! Music Magazine con un video allegorico e teatrale a custodire il suono e la ricerca di “Cortango”… o meglio una parte di esso, forse la più fruibile e la meno sfuggente. Lasciamo la superficie ora e immergiamoci, guidati dalla sua voce in questa lunga intervista, nell’ascolto di un lavoro che sfacciatamente punto più verso l’avanguardia che al tutto e subito di una soluzione facile del mercato. Si intitola (quasi didascalicamente) “Il Coraggio”, lavoro che l’artista francese ha scritto liberandosi di maschere e di vincoli, liberando l’estro e l’ispirazione. Dentro un disco in cui impera la fisarmonica come attore principale e non unico ovviamente, è facile perdere l’orientamento ma altrettanto inutile ancorarsi ai soliti stilemi per raggiungere una ratio a tutto. L’invito è aperto a tutti i coraggiosi ben pensanti ancora capaci di curiosità e di spirito critico per la musica non confezionata dal grande mercato. Che poi il passo dall’arte alle problematiche sociali è assai breve. E infatti saranno spesso questi i toni della nostra conversazione. Inevitabilmente direi anche… “Fare Arte è un atto di profonda onestà e amore per la vita, un risveglio dal torpore mediatico e propagandistico senza senso a cui spesso si soccombe” (Miranda Cortes)
Ti ritroviamo Miranda dopo l’anteprima del video di “Cortango”. Che tra l’altro quel video è un estratto del brano che è assai più lungo. Come mai questa scelta?
“Cortango” dura 5m 46sec., l'ho scelta perché considero il titolo come una piccola “trappola”, ovvero, il tango si fa avanti per la prima parte, ma nella seconda parte si trasforma radicalmente in pura sperimentazione, una mia visione sonora rimbalza nell'ignoto. Di fatto il tango è solo un pretesto per aprire le danze di questi quasi 6 minuti di musica. Ho attribuito anche un sottotitolo a questa composizione: il Tango della Maschera del terzo Millennio, grazie alla maestria di Eleonora Fuser, che nel video interpreta una danza in codice insieme a me.
Eleonora Fuser è un punto fermo del video. In qualche modo lei e la sua arte hanno ispirato parte del brano o dell’intero disco?
La partecipazione di Eleonora Fuser è un valore aggiunto per il video di “Cortango”, non compare negli altri brani del disco. La sua partecipazione mi ha dato la possibilità di ispirarmi al cinema d'essai per il tipo di ripresa e di immagine utilizzati con lei. Eleonora è un Maestro della maschera, una grande interprete della commedia dell'Arte veneziana, la sua presenza conferisce un grande valore artistico alle ragioni estetiche e divulgative del video. La sua danza rafforza la sperimentazione del brano così come il video integrale, di circa 6.20 minuti, presente anche questo su youtube, si apre con un'introduzione della Fuser nel raccontare la maschera della strega da lei inventata negli anni '80, maschera che indossa proprio in questo video. La versione integrale è importante da vedere perchè consente di comprendere meglio la poetica di Cortango.
Ma non solo tango dentro questa tracklist vero?
Infatti e aggiungo anche per fortuna! La varietà in questo Cd non manca, questo riflette la mia personalità del vivere ogni cosa come un caleidoscopio, la mia eterna curiosità mi ha sempre portato ad esplorare il più possibile, senza confini, senza gabbie mentali, per l'amore della ricerca.
Ci arriva forte la sensazione di avere tra le mani un disco che somiglia più alla dimensione di verità che hai della musica. Come a dire: ora vi faccio sentire quello che ho in testa. Forse più che di coraggio, il titolo avrebbe dovuto inneggiare alla libertà?
Sono valori interdipendenti, e di sicuro ci vuole coraggio per vivere in un stato di verità, ovvero di profonda onestà intellettuale e di amore per quello che si fa, escludendo secondi fini materialistici di breve durata, o il sentimento della paura, che quotidianamente invade le nostre case e la nostra mente. Nella mia testa so di appartenere alla schiera degli Artigiani Artisti, sono fra quelli che riconoscono nella Natura la dimensione artistica più autentica e del tutto eccezionale con la grandiosità delle sue montagne, dei suoi fiumi, laghi, gli infiniti colori dei cieli e della flora di ogni latitudine, le incredibili specie animali... contemplare la bellezza del pianeta Terra e cercarla nella nostra opera e nella nostra vita è uno stato di Verità. A Venezia ho il privilegio di vedere quotidianamente questa bellezza insieme all'imponenza artistica costruita dall'uomo quando il prestigio di una Repubblica come la Serenissima era al servizio del Bello. Per questo non può non esistere un filo rosso in questo album, la sua struttura palindroma con il primo brano “Sempre”, in cui l'Adagio iniziale viene riproposto identico anche nel finale dell'ultimo brano, “La Terre et Le Ciel”, chiude un ciclo di composizioni in cui ho qualcosa di chiaro da dire e chi entra in risonanza con la mia musica, si sente “toccato” nel profondo. Fare Arte è un atto di profonda onestà e amore per la vita, un risveglio dal torpore mediatico e propagandistico senza senso a cui spesso si soccombe. Nel 2019 scrissi in un mio libro una riflessione che potrebbe ulteriormente chiarire la tua domanda: ”capire in profondità se si voglia intendere Arte come Technè, ovvero come nutrimento della propria vita immersa nella verità o Arte come come gratificazione esterna al sé, affine alle mode, ai desideri delle giurie specialistiche e al grande pubblico. Si apre dunque un dibattito etico intellettuale di fondamentale importanza sulla dimensione artistica tra l'essere pago della propria creatività nel senso “artigianale” del termine anche se a costo di grossi sacrifici, o rendersi invece gradito alla corte”. (L'inevitabile Incontro)
Oggi la vita non da tempo e spazio all’avanguardia. Tu come ti rapporti e come pensi che viva un disco così impegnativo?
Più che la vita, direi sia il Sistema Uomo a non dare spazio a ciò che è verità, ovvero la Vita come ricerca, conoscenza e amore. Da decenni l'industria culturale punta ad una semplificazione delle coscienze, e l'accelerazione tecnologica in corso invade sempre più le nostre vite; una società digitale che considera la persona un mezzo per la prestazione che può fare e non un fine per quello che è veramente. L'avanguardia del dopoguerra produsse un movimento culturale nuovo e stimolante, ma con il passare degli anni si isolò in una torre d'avorio con fredde elites intellettuali che abbandonarono completamente la funzione comunicativa e mutarono la produzione artistica in un esercizio di stile. La mia produzione artistica, pur utilizzando forme musicali distanti dal pop, vuole aprire un canale di comunicazione con il pubblico, stimolare la curiosità, porre delle domande, elevare la mente. L'identità umana non è quello che la fabbrica del consumo vorrebbe farci credere, un ibrido di istinto e paura, dentro di noi esiste una coscienza armonica che va nutrita e amata. Questo è lo scopo di un disco “impegnativo” come il mio, sequestrare le persone sul divano ad ascoltare circa 50 minuti di musica artistica… pensiate sia possibile?
Si intitola “Il Coraggio” questo nuovo disco (e per certi versi un primo vero lavoro personale) di Miranda Cortes, musicista, scrittrice, ricercatrice del suono e della forma. Una pubblicazione che non stupisce nel vederla firmata dalla RadiciMusic di Firenze, label che ha sempre sottolineato culturale e libera espressione e di certo qui la storia si ripete con un disco assai difficile, quantomeno all’orecchio quotidiano abituato a ben altre dinamiche e colori. “Il Coraggio” mescola fisarmonica e colorazioni di tango argentino all’elettronica e alla psichedelia più visionaria. Interessante ritrovare in scena la danza di Eleonora Fuser, madrina della commedia dell’arte, che qui interviene nel video ufficiale che riporta in scena un estratto del singolo “Cortango”.
Inevitabile misurarsi con un disco così privo di appigli quotidiani. Dunque la domanda provocatoria è questa: cosa pensi del pop e che rapporti hai con la musica commerciale?
Intanto grazie per il complimento, ovvero che la mia musica sia priva di appigli quotidiani, perché così dicendo confermi la mia unica intenzione, ovvero quella di fare Arte con produzioni musicali uniche e aggiungo un pensiero: “capire in profondità se si voglia intendere Arte come Technè, ovvero come nutrimento della propria vita immersa nella verità o Arte come come gratificazione esterna al sé, affine alle mode, ai desideri delle giurie specialistiche e al grande pubblico. Si apre dunque un dibattito etico intellettuale di fondamentale importanza sulla dimensione artistica tra l’essere pago della propria creatività nel senso “artigianale” del termine anche se a costo di grossi sacrifici, o rendersi invece gradito alla corte”. Ho scritto questa riflessione in un mio libro intitolato “L’inevitabile Incontro” pubblicato nel 2019 in cui affronto tra le varie cose, l’evoluzione della dimensione artistica nei secoli.Per me la composizione è fare ricerca, abbozzare, scrivere con la mia matita 8B, correggere, strappare gli spartiti e ricominciare da capo finché non trovo la bellezza davanti ai miei occhi e dentro il mio respiro. Mi sento un Artigiano dei Suoni, che lavora con cura e fatica nella sua bottega invisibile lontana dai riflettori. Il Pop è una macchina da soldi, strutture standard pianificate a tavolino e ripetibili all’infinito, forma e contenuti di facile ascolto, tende ad impigrire l’ascoltatore e lo abitua ad essere fondamentalmente distratto, per “consentirgli” di fare contemporaneamente mille altre cose…. però una mezza lancia va spezzata… ! La musica di consumo di massa nasce in un periodo storico in cui c’erano mille mutamenti in corso, sogni da inneggiare, il secondo novecento produce un’industria discografica/culturale senza precedenti con evergreen bellissimi made in Uk, made in USA, made in Italia, made in France, in Brasil, canzoni belle… Con il terzo millennio la contaminazione del melting pot e la tecnologia del copia incolla uccide l’umanità della canzone, e tutto diventa per la maggior parte delle volte “un già sentito”
In Italia almeno, esistono pochissime donne dedite al bandoneón e alla fisarmonica vero? Almeno per noi risulta qualcosa di poco consuetudinario come d’altronde lo sono dischi come “Il Coraggio”…
Gli strumenti a mantice sono di tanti tipi, la concertina, la konzertina, l’organetto, il bandoneon ecc. io sono polistrumentista, però il mio strumento principale che suono da sempre è la fisarmonica, lei è il mio vestito. In questo lavoro ho voluto far sentire una fisarmonica diversa…la prima cosa che mi disse Aldo Coppola della RadiciMusicrecords, dopo un primo ascolto di alcuni brani fu: “ ma questa non è la solita fisarmonica!” Si, non lo è! Suono il mio strumento con la volontà di sperimentare nuove sonorità, nuovi colori, e quindi “Cortango”, il cui titolo ci rimanda ad uno stile musicale ben noto, di fatto ne da solo un accenno per diventare nella seconda parte pura sperimentazione, “Il Treno” è rock condito di psicadelia tra oscillazioni del mantice e suono distorto della chitarra, “La Terre et le Ciel” è di nuovo sperimentazione con fisarmonica e elettronica, “Sempre” insieme a “Prière dans la nuit” è una scrittura classica, “Le Diable ça va” è un omaggio teatrale a Jacques Brel, “Le Tarn” è l’unica pillola volutamente più “facile” da ascoltare senza “sequestrare” le persone sul divano, ovvero si potrebbe anche ballare!
Ma se ti dicessi che dentro questo lavoro c’è molta psichedelia e moltissimo rock? Cosa mi risponderesti?
Risponderei che hai proprio ragione! In questo lavoro ho sintetizzato tanti anni di esperienze artistiche e il rock l’ho suonato parecchio con la mia fisarmonica! Ho sperimentato senza limiti questo strumento in tutti i tipi di repertori, dal live electronics al punk, dal rock al combat folk, dal tango al blues, m’interessava la ricerca del suono a 360 gradi, senza limiti …ma va detto che si sentono anche altre influenze come la musica contemporanea, il folk, la musica classica, le tradizioni del Mediterraneo, senza dimenticare la mia passione per la musica cantautoriale francese con Jacques Brel
Dal vivo? Che tipo di suono porterai in scena?
Il repertorio viene proposto in duo con un violoncello, l’amalgama del suono funziona alla perfezione e tutti gli arrangiamenti si esprimono pienamente
Eppure la copertina del disco è assai classica… come l’hai pensata?
Una coincidenza, un giorno il fotografo Mario Lunetti con cui è stato realizzato tutto il servizio fotografico del disco, mi mostrò una sua foto di qualche anno prima, rimasi immobile, un’emozione forte mi sussurrò che quella poteva essere la copertina del mio nuovo album: dei piccoli papaveri rossi, esili e sgargianti, incurvati dalla forza del vento ma talmente resistenti da non rompersi … me ne innamorai all’istante.
Miranda Cortes è italo francese di identità ma anche di eleganza nel modo che ha di pensare alla musica. Ma poi anche spagnola, anzi argentina se proprio mi vien da pensare ad un luogo, argentina per il modo che ha di pensare alla forma, al colore, al carattere spigoloso di passione che mette dentro gli angoli della sua composizione. Avanguardia compositiva per la fisarmonica (composizioni che accolgono anche molto altro) in questo disco uscito per la RadiciMusic dal titolo “Il Coraggio” dentro cui svettano noti adagi di grandi movimenti classici che pongono però solo le basi per tanto altro. In rete il video ufficiale di “Cortango” dentro cui si posa l’arte e la maschera di Eleonora Fuser.
Ormai sei italiana a tutti gli effetti… possiamo dirlo? Cosa hai rubato dal nostro paese, musicalmente parlando?
Rubare con gli occhi, forse, ho interiorizzato magnifici paesaggi, incantevoli luoghi della storia, tra cui Venezia la città dove vivo, sono fonti inestimabili di ispirazione artistica, i luoghi creano tanta musica nella mente…. Italiana, non mi sento tale, ma nemmeno di un’altra nazionalità, mi definisco apolide, una persona del pianeta Terra non vincolata a dei confini geografici, una cittadina del mondo e riguardo alla musica, l’Italia non manca certo di stimoli dal repertorio classico contemporaneo alla musica di grande ascolto offerta da giganti come Giorgio Gaber, Lucio Dalla, Rino Gaetano, Franco Battiato, Paolo Conte.
Eleonora Fuser tra le pieghe di questo lavoro… la maschera e la commedia dell’arte. Come si incastrano nel disco di Miranda Cortes? Perché questa connessione?
Seguo il lavoro di Eleonora Fuser da tanto tempo, la sua bravura è ineccepibile nella recitazione con e senza la maschera. La commedia dell’arte ha impegnato una larga fetta della sua vita professionale e vederla recitare è proprio un gran piacere. Da un paio d’anni lavoriamo insieme in uno spettacolo teatrale, in cui mi occupo delle musiche in scena, e questa è stata l’occasione per conoscerci, apprezzarci a vicenda alimentando una bella amicizia, e così le ho chiesto la sua collaborazione nel video del Tango della Maschera, Cortango, visibile on line. Cortango è il tango del terzo millennio, il tango della Maschera e in questo video la Fuser indossa la maschera della Strega da lei “coniata” negli anni Ottanta, quando la Commedia dell’Arte, ancorata alla tradizione, non proponeva nessun personaggio femminile.
Quanto di questo suono è direttamente connesso alla tua vita? Quanto cioè questo disco quanto parla della tua vita?
Molto e inevitabilmente direi, la musica è un prolungamento di se stessi, anche quando si suona musica scritta da altri compositori, è sempre l’espressione di sé, di un proprio modo di vedere il mondo, delle proprie visioni. Con questo lavoro ho voluto esprimere una verità profonda che si esplica con il suono d’insieme degli strumenti, con la mia voce, con i testi che ho scritto. Un ascolto attento, di chi è disponibile a concederlo, può entrare in una verità di suono in cui passa un messaggio molto forte, sta a chi ascolta capirlo lentamente e con un buon stereo…La metamorfosi e la deformazione sono il fili conduttori che collegano tutti i brani, dalla risonanza del suono acustico alla saturazione del suono digitale, così come accade per l’identità umana nelle tappe del transumanesimo attualmente in corso.
Il rosso torna sempre. Il rosso della passione, del coraggio, del tango… è un caso?
Non è un caso, il rosso è sempre e comunque il mio colore preferito, per questo ricorre un po’ dappertutto come il “prezzemolo” dicono qui in Veneto. Poi l’anno scorso il fotografo Mario Lunetti mi mostrò una sua foto che teneva in archivio, è stato un amore in prima vista, subito capii che quella poteva essere proprio la foto di copertina del mio nuovo album: dei piccoli papaveri rossi, esili e sgargianti, ma resistenti al vento… ovvero l’essenza del coraggio, titolo a questo lavoro che narra in musica di questo principio di vita.
Dal vivo, ora che abbiamo intravisto la luce di questa pandemia? Cosa accade nella tua carriera in questo momento?
Francamente non ho questa percezione, la luce mi sembra ben lontana per quanto sta accadendo in questo paese e non mi riferisco alla pandemia, ma alle fondamenta di uno stato democratico in dissoluzione. Personalmente mi definisco un Artigiano dei suoni, lavoro nel mio piccolo laboratorio per l’amore del mio mestiere e gli artigiani, come ben sappiamo, sono invisibili eppure sono quelli che costruiscono le incantevoli città d’arte del vecchio continente… fare Arte è uno stato di verità, non un abbaglio
Oggi mettiamo in scena un Tango con derive altre, tra futurismi digitali e quel gusto antico di una fisarmonica che cerca, anche nel suo, di fare ricerca, di uscire dalle stesse forme classiche a cui attinge ispirazione per cementare la spina dorsale. Come a dire: da un punto fermo si parte e da li si inventa il resto del viaggio. Un disco difficile che però porta con se un bagaglio di cultura e di espressione davvero impressionante. E vi avvisiamo: un linguaggio assai lontano dalle nostre abitudini. Splendida Miranda Cortes e questo suo disco dal titolo che mantiene le sue promesse: “Il coraggio”. Altra grande pubblicazione della RadiciMusic di Firenze, altra grande scommessa contro una musica sempre più liquida, scontata e scarsamente ispirata.
Iniziamo sempre questa rubrica pensando al futuro. Futuro ben oltre le letterature di Orwell e dei film di fantascienza. Che tipo di futuro si vede oltre l’orizzonte? Il suono tornerà ad essere analogico o digitale?
Sarà magari anche spaziale visto l’inarrestabile avanzamento della tecnologia nella vita umana. Il Futuro…chissà voleremo liberi su dei tappeti volanti, oppure saremo tutti schedati con un Qrcode….il futuro si costruisce con il pensiero collettivo della gente fatto di valori irrinunciabili come il rispetto, l’amore per il prossimo, la ricerca della verità e di sicuro le premesse attuali non sono confortanti. La qualità della comunicazione sui media si è abbassata ai minimi storici e sappiamo che i media possono ammaestrare a suo piacimento il pensiero collettivo. Ma per fortuna l’identità umana si caratterizza anche per il suo pensiero divergente, e può sottrarsi con creatività dal ripetere slogan di facciata con nessuna sostanza alle spalle …. Suono analogico o digitale o quello che sarà, poco importa, il mercato deve sempre far girare i soldi, ma noi troveremo sempre un’unica verità di suono nella più grande dimensione artistica mai esistita : la Natura.
I dischi ormai hanno smesso di avere anche una forma fisica. Paradossalmente torna il vinile. Ormai anche il disco in quanto tale stenta ad esistere in luogo dei santi Ep o addirittura soltanto di singoli. Anche in questo c’è un ritorno al passato. Restiamo ancora dentro al futuro: che forma avrà la musica o meglio: che forma sarebbe giusta per la musica del futuro?
Intanto direi che torna il vinile si, ma per una nicchia di amatori nostalgici! Il cd sta lasciando il posto ad un codice a barre, e il libretto da tenere nelle mani con i testi da leggersi in santa pace non c’è più. Tutto scaricabile, con il massimo della velocità. I singoli sono una strategia per avere una minima percentuale di entrata economica, visto il crollo dei diritti d’autore sulle visioni on line. Per quanto riguarda la musica, non esiste il passato o il futuro, è una pratica ancestrale di cui nessuna civiltà in passato e nel presente si sia mai privata proprio perché indispensabile per il vivere umano. Indispensabile in quanto verità artistica e in quanto tale immortale, ciò che non rispecchia questo criterio passa o passerà nel dimenticatoio, com’è giusto che sia.
La pandemia ha trasposto il live dentro incontri digitali. Il suono è divenuto digitale anche in questo senso… ormai si suona anche per interposto cellulare. Si tornerà al contatto fisico o ci stiamo abituando alle nuove normalità?
Ci si sta abituando ad una qualità edulcorata a suon di schede audio, digitalizzazioni e quant’altro, ma nulla potrà mai sostituire la magia del suono acustico, il linguaggio del corpo fatto di respiri, sguardi, ammicamenti, sorrisi, e la complicità del pubblico. La musica è una dimensione dell’essere e non una sua contraffazione, pertanto “nuove normalità” mah…, forse chi vuole illudersi desidera utilizzare questa proiezione, personalmente percepisco la rassegnazione.
Ed è il momento di parlare di questo nuovo progetto di Miranda Cortes. Un disco di avanguardia, di suoni classici, che dal tango al jazz spaziano anche verso il blues, il pop e l’elettronica. Ci ho trovato tanto dentro… di sicuro è un disco che richiede ascolto. Come si inserisce dentro una scena ampiamente devota alla musica leggera digitale, immediata e quasi sempre densa di contenuti superficiali?
In effetti fa un po’ fatica ad inserirsi in questa collocazione…, si propone come un lavoro unico di ricerca e chiede la disponibilità ad essere ascoltato per intero, con pazienza, perché ha un messaggio da dare a noi tutti! Il primo brano “Sempre” è deliberatamente lento, quasi da far saltare i nervi a chi inneggia la velocità e il frastuono, eppure se ascoltato fino in fondo ritrae una pennellata magica della laguna veneziana con i suoi gabbiani e i suoi riflessi acquei. “Cortango”, il terzo brano, è un accenno di tango ma si trasforma poi in sperimentazione tra violoncello e fisarmonica. “Prière dans la Nuit” ha una forma classica, complice il quartetto d’archi, e rappresenta le mie passeggiate notturne a Venezia, quando il tempo si ferma e la notte diventa un grande schermo di stelle e di palazzi marmorei. Chi si rende disponibile ad ascoltare senza prigioni mentali questo lavoro discografico sentirà risuonare dentro di sé un pensiero.
E poi tutti finiamo su Spotify. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
Eh già, un grazie con inchino ai giganti della distribuzione digitale, il mestiere del compositore indipendente privo di retribuzione, cancellato. Chi fa arte con la devozione e la pazienza di un artigiano auspicherebbe che la sua musica fosse remunerata come un qualsiasi altro lavoro, dal momento che occorre investire molto denaro per finanziare un prodotto artistico. Spotify e altre piattaforme simili rappresentano il rovescio della medaglia del mondo tecnologico confezionato da velocità, praticità di sicuro e visibilità?forse…
Dunque apparenza o esistenza? Cos’è prioritario oggi? La musica come elemento di marketing pubblicitario o come espressione artistica di un individuo?
Esistenza a tutti i costi, altrimenti cosa ci facciamo su questo pianeta e soprattutto che razza di vita vogliamo vivere? Dalla mia infanzia ad oggi, la musica è sempre stata un cammino di riflessione, suonare è faticoso per l’impegno che rappresenta, e al tempo stesso è un momento di liberazione e di crescita personale, perché inevitabilmente si continua a dialogare con la materia sonora quando essa ti comunica messaggi profondi e frequenze che penetrano nella nostra pelle e nella nostra dimensione più intima. L’industria culturale dagli anni ’60 aveva prodotto indimenticabili evergreen, simboli di periodi storici di pseudo emancipazioni sociali, nell’ultimo ventennio c’è il deserto, un copia- incolla continuo, un livellamento asettico del gusto medio, poco nulla che possa risvegliare le menti, piuttosto un’ anestesia ricettiva, e così non c’è nulla da sorprendersi se la gente non riesce a sedersi e a concentrarsi su qualcosa di diverso dalle proprie abitudini quotidiane.
A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Miranda Cortes, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Jacques Brel ad esempio, visto che uno dei brani contenuti nel mio cd, “Le diable ça va” , è proprio un omaggio dedicato a questo straordinario cantautore belga trapiantato in Francia, oppure Aquarium Venitien, una mia composizione che suonai con Gianni Coscia nell’album “‘Ndar”, registrato con la cantante Rachele Colombo nel 2016.
Parliamo di avanguardia direbbe qualcuno… anche se lo stesso qualcuno forse ha iniziato ad abusarne. Spesso le parole sembrano assai convenienti quando fanno scena. Eppure, almeno per questa volta, non credo che sia così fuori luogo questa parola. Derive del tango, derive del Jazz e derive del Blues – occhio però a dare a tutte queste etichette di genere un senso alto e spirituale più che di forma e di regola. Parliamo di Miranda Cortes, parliamo di un disco come “Il Coraggio”, nuovo capitolo firmato dalla sempre preziosa RadiciMusic che investe attenzione sulla cultura e sulle mille espressioni del linguaggio musicale. E questo disco è ostico, difficile, privo di appigli comuni. La libertà della fisarmonica della Cortes incontra tutto il resto dentro forme decisamente di avanguardia, quasi psichedeliche delle volte. Come in “Cortango”, come in questo ballo della maschere, ricco anche di un video che immortala la magistrale presenza di Eleonora Fuser. Un ascolto che richiede una dedizione che oggi facciamo fatica a trovare… e la colpa è soltanto nostra.
Disco di avanguardia. Decisamente una parola calzante anche se sono tantissimi coloro che pensano che l’avanguardia sia morta. E trovo che con te l’argomento sia davvero gustoso… cosa ne pensi?
Avvicinare il mio lavoro all’avanguardia è un complimento, in fondo è stato un movimento musicale di protesta e di rottura degli schemi compositivi convenzionali di grande importanza, una ricerca agli estremi indagabili che alla fine si è isolata in una torre d’avorio ma ha lasciato un segno indelebile nella nostra storia. La fisarmonica ha ottenuto la sua emancipazione nel mondo accademico proprio grazie alla Nuova Musica ottenuta da questo periodo di di avanguardia e noi fisarmonicisti siamo riconoscenti d’aver potutto utilizzare il nostro strumento in modo nuovo, valorizzando il suo potenziale fonico espressivo. “Cortango” contiene questo pensiero di ricerca, nella seconda parte del brano, utilizzo lo strumento proprio secondo le sonorità della Nuova Musica, così anche per “Sempre”, “La Terre et le Ciel”.
Che poi ad ascoltare il lavoro spesso ti ancori a strutture e modi classici per avventurarti altrove, un poco, con “coraggio” ma sempre per tornare “all’ovile”… sbaglio?
L’ovile… vediamo… Nel mio caso potrebbe essere la mia appartenenza ad una certa poesia musicale, i miei amori notturni trascorsi ad ascoltare per ore e ore musica con musicisti, cantautori e compositori, senza dimenticare l’ importanza per il silenzio. Tutti assimiliamo ciò che studiamo e lo riproduciamo nelle nostre proprie realtà personali. Negli anni ho sempre esplorato differenti linguaggi musicali, spesso agli antipodi, scoprire nuovi mondi è sempre stato un bisogno interiore pressante, una conoscenza di vita nella ricerca del diverso, e questo mi ha consentito di rielaborare un mio linguaggio personale strettamente collegato alla mia biografia.
L’elettronica di questo disco sembra un vessillo, un elemento che in alcuni tratti “stona” nel senso che questo disco ha davvero una forza trasgressiva nel suono analogico degli strumenti. Cosa ne pensi?
Potrebbe essere visto anche in questo modo…, L’elettronica ha una valenza simbolica e non a caso è inserita nell’ultimo brano! La mia intenzione sta nel raccontare la metamorfosi del mio strumento, dal primo brano dell’album in cui la fisarmonica in simbiosi con la laguna veneziana si esprime con tutta la sua potenza espressiva grazie alle grandi aperture di mantice, al suo connubio con gli strumenti ad arco come il violoncello, il violino, e poi con una chitarra elettrica volutamente distorta in modo quasi esagerato nei brani successivi. Infine avviene la metamorfosi che si manifesta pienamente nell’ultimo brano “La Terre et le Ciel” in cui compare l’elettronica e la cui funzione è proprio quella di trasformare definitivamente il suono dello strumento a mantice. Questa trasformazione o deformazione sonora corrisponde anche ad una trasformazione del pensiero umano, dall’analogico al digitale.
Dunque edulcorando il titolo, il coraggio per te sta anche ne pubblicare oggi un disco simile?
Si, questo titolo richiama certamente il valore etico di questa parola che si può esprimere con pensieri e azioni, e per me è stato anche quello di pubblicare questo lavoro con le mie forze. Ho riversato ciò in cui credo , i capisaldi del mio pensiero, perciò esprime molto di più che delle stanze sonore.
Cosa rispondi a chi ti dice che ormai non c’è più la forza della gente nel star seduti a concentrarsi su qualcosa che ha un linguaggio davvero lontano dall’immediato?
Rispondo che purtroppo è così! Se pensiamo a Davide, re d’Israele, che trascorreva delle ore ad ammirare le stelle del cielo in profonda meditazione, ebbene potremmo chiederci a che punto siamo noi che poco le vediamo le stelle nelle città frenetiche in cui viviamo… La qualità della vita, della comunicazione, la capacità di rielaborare le informazioni, la disponibilità alla conoscenza e la riflessione sui valori della vita umana sembrano sfumare sempre più in virtù di pensieri affrettati dettati dall’emotività e non dal ragionamento ponderato. Il Novecento è stato con l’avvento della tecnologia il secolo dell’accelerazione da tutti i punti di vista e questo primo ventennio del terzo millennio è quello dell’assuefazione con soffocamento virtuale: a questo punto siamo strangolati dalla tecnologia, dal suo potere, occorre “usare e gettare”, trovare svaghi a tutti i costi per non pensare troppo, fingere di non vedere, di non capire…
Ha raccolto ogni cosa contenesse il suo grandissimo bagaglio di cultura e di incontri musicali e lo ha rovesciato con arte e gusto dentro il suono libero di questo che per molti aspetti è il suo primo vero lavoro personale, identitario, foriero di personalità e anche di femminile fragilità. Si intitola “Il Coraggio”, opera strumentale di Miranda Cortes, musicista francese ormai naturalizzata italiana che affida alla fisarmonica e al Bandoneón la potenza della sua lirica… strumenti che in questa scena nostrana sono spesso associati a musicisti maschili. Un disco dentro cui vivono soluzioni orchestrali, dal tango alla tradizione popolare finanche, come ci dirà anche lei, al rock o alla canzone francese d’autore. E sottolineiamo la presenza della gran Maestra della Commedia dell’Arte, Eleonora Fuser, ad impreziosire questo video ufficiale che fotografa forse la parte meno sperimentale e più melodica di un brano visionario come “Cortango” – il tango della maschera. Perché “Il coraggio” è un disco che lascia poco appiglio alla normalità delle melodie e richiede immersione e richiede devozione, dove lo stilema si infrange e dove anche la più piccola previsione si rompe contro la salvifica libertà della sperimentazione. Anche questa è la ricchezza della scena indie italiana.
Miranda Cortes e questo che possiamo definire il tuo primo disco solista fatto, pensato e scritto in un certo modo?
Si, è il mio primo album fatto e firmato interamente con la mia penna sia come composizione che come direzione artistica. Ma se guardassimo la cronologia dei miei lavori discografici, questo sarebbe il decimo album. Ho registrato in precedenza altri lavori con musicisti differenti, alcuni di questi cd hanno anche dei miei brani come nell’album “Ndar” registrato con Rachele Colombo, oppure in “Ferme tes yeux” con La Frontera
Libertà è anche sinonimo di avanguardia secondo te?
Sono in stretta relazione. La Libertà si basa sulla conoscenza, sul pensiero critico e sulla ricerca. Nel primo Novecento l’Avanguardia si caratterizzò per la libertà di ricerca con Schoenberg, Stravinsky prima, e poi nel dopoguerra con la scuola di Darmstad, i grandi maestri come Maderna, Berio, Schaeffer, Boulez e molti altri, pozzi di conoscenza che utilizzarono la loro libertà creativa per innovare e guidare nuove tendenze musicali. L’avanguardia si opponeva all’industria culturale, dava spazio a nuovi linguaggi, offriva nuovi orizzonti sonori e non poneva il consenso del grande pubblico tra i suoi obiettivi….poi sappiamo com’è andata a finire…MI sarebbe piaciuto vivere la scena musicale di quegli anni, c’era un ‘effervescenza, una verità dell’essere in quello che si faceva che oggi non ritroviamo più.
Si intitola “Il Coraggio” questa grande prova d’artista di Miranda Cortes, musicista francese di stanza a Venezia che giunge grazie alla sempre puntuale attenzione della RadiciMusic ad una pubblicazione impegnativa e (se mi si concede il termine) definitiva in quanto a manifestazione di se. Un disco dentro cui la fisarmonica la fa da padrona, dentro cui è la contaminazione nella sua totale libertà primigenia a fungere da fulcro e da ispirazione per la trame del disco. Avanguardia in un senso nobile ed elegante, dal tango al rock passando (timidamente) per i suoni elettronici ma lasciando ovunque quel senso di reale e di istintivo. In rete campeggia il video di “Cortango”, un estratto del brano più esteso che troviamo dentro la tracklist ufficiale e che nel video ospita la regina della maschera italiana, Eleonora Fuser. Un lavoro dunque che par divenire un disco difficile, impegnativo, che richiede e pretende un ascolto privo di ottusa necessità del conosciuto. Evasione e immersione.
Io partirei dal concetto di maschera che campeggia dentro questo video… per te cosa significa?
Direi che La maschera rappresenta ciò che non ci è dato di sapere, dietro di lei potrebbe nascondersi di tutto, com’era in effetti la sua funzione rituale in origine quando le persone agivano senza essere riconosciute. Personalmente la considero inquietante per la sua immobilità, per la sua assenza di vita, una sorta di ipnosi mescolata alla paura. L’attrice Eleonora Fuser, un gran Maestro nella Commedia dell’Arte veneziana e una mia cara amica, è la protagonista indiscussa del video. Indossa la maschera della Strega, la prima maschera al femminile inventata dal lei negli anni ’80, quando la Commedia dell’Arte offriva nel suo repertorio solo maschere maschili. Il video ritrae l’incontro tra la Maschera e la Musica, insieme volteggiano, si annusano, si guardano e si conoscono.
E parlando di coraggio, prendendolo a prestito dal titolo di questo disco? Oggi cos’è il coraggio e cosa significa per te?
Il coraggio è il sale della vita, è saper fare un passo avanti, osare, saper navigare nelle burrasche degli oceani umani inseguendo la giustizia, l’onestà, l’amore per il prossimo, valori immutabili che dovrebbero guidare la nostra esistenza su questa pianeta. Altrimenti che senso avrebbe vivere? Sottrarsi da questa responsabilità umana non avrebbe senso. I papaveri rossi che ho scelto come copertina del mio cd sono un esempio di coraggio, perché sono piccoli fiori delicati piegati al vento, eppure con grande forza rimangono ben saldi al terreno.
Un disco come questo di Miranda Cortes è un disco di grande coraggio. La sperimentazione, la ricerca, lo studio… un linguaggio decisamente lontano dal mondo liquido di oggi. Tu come ti ci rapporti?
Come mi rapporto con il mondo di oggi? Sono molto scettica in generale, nel senso che i media di largo consumo hanno dimenticato da lungo tempo la funzione primaria per cui erano stati creati, ovvero quello di acculturare le menti con la ricerca, la conoscenza profonda delle cose… Ha vinto la Tv di Mediaset con lo svago ad ogni costo, la semplificazione, il livellamento dei gusti e questo accade non solo sul piano musicale ma in generale su tutti gli aspetti divulgativi. Pertanto chi fa ricerca oggi addentrandosi in linguaggi che chiedono ascolto viene etichettato come “difficile” oppure di “nicchia”,quando invece basterebbe un pochino di disponibilità in più per capire quello che si sta ascoltando… Che dire? Assolviamo il compito di sollecitare la curiosità altrui! Un disco come il mio può essere ascoltato da chi è curioso di conoscere al di la di tutto, e in fondo mantengo una speranza che possano essere in tanti…
Il Coraggio: un titolo importante per l’ultimo album di Miranda Cortes pubblicato da pochi giorni dall’etichetta RadiciMusic Records; un lavoro fortemente identitario, così come rivela la presentazione dell’autrice: “Sono giunta alla soglia di un tempo che mi chiede di voler tirar fuori da me tutto ciò che ho imparato, ascoltato, suonato e digerito. Ho sempre amato scrivere nel silenzio poesia e musica; aspettavo di essere gravida di intuizioni oniriche e di visioni sonore policrome e questa sensazione è arrivata in modo decisivo nel 2020.
Questo è il mio lavoro solistico dalla A alla Z. Protagonista la fisarmonica, ospiti il violoncello, il violino, la viola, la chitarra elettrica e l’elettronica.
La mia composizione include anni di studi e di ricerche, questo lavoro è una sintesi e l’innovazione delle mie esperienze dalla musica classica alla nuova musica, dal rock al live electronics, dal tango al combat folk, dalle eterogenee e preziose tradizioni del Mediterraneo alla musica cantautorale francese di Jacques Brel”.
Puoi raccontarci il tuo ultimo lavoro discografico? Innanzi tutto, cosa ti ha condotto a questa creazione solistica?
Quarant’anni di musica nel cuore e nella mente! Molti miei scritti sono rimasti nel cassetto della scrivania, altre cose sono state pubblicate in album precedenti a seconda delle collaborazioni in corso. Ad esempio, Aquarium Venitien nel CD ‘Ndar in cui compare un invitato speciale, Gianni Coscia, una grande opportunità per la mia musica e per me. Nello stesso disco viene pubblicato Hypermarché – La nuit du Redentor, Marcelle B. dedicato a mia madre, altri brani come Muzar e L’oubli et le Papillon seppur depositati a quattro mani con la ricca collaborazione di Rachele, riflettono fondamentalmente la mia visione poetica e musicale. Da anni pensavo ad un progetto tutto mio e il 2020 è arrivato con forza, anno di confine, anno di profonda introspezione in cui ho deciso con fermezza di riversare al di fuori di me un mio mondo parallelo. Mi considero un artigiano dei suoni, materializzo il mio immaginario nel sonoro, realizzando composizioni in cui l’esser musicista diventa un’unica realtà con la poesia, la pittura, la danza, una realtà in continuo movimento davanti ai miei occhi. Una passeggiata, una preghiera, un cammino, un incontro, un ricordo sono gli stimoli del quotidiano, ma prima di tutto viene la mia ammirazione per un capolavoro artistico ineguagliabile: la creazione. Ho scelto un titolo forte per questo ultimo album, Il Coraggio, perché ritengo sia un principio di vita inesorabile con il quale dobbiamo fare i conti quotidianamente. Coraggio di amare incondizionatamente, coraggio di essere, coraggio di affrontare i grandi interrogativi dell’esistenza e le burrasche dei nostri oceani interiori. Non è stato facile compiere tutta la fase di registrazione in studio, le restrizioni “sanitarie” non hanno certo aiutato gli interventi dei musicisti ospitati in alcuni brani. E parlando degli “invitati” li presento: il violoncellista Emanuele Praticelli di Padova; due strepitosi compagni di tanti viaggi musicali, Michele Pucci e Michele Sguotti del quartetto La Frontera, insieme abbiamo lavorato intensamente sulla ricerca e lo studio delle musiche tradizionali del Mediterraneo; il compositore Simone Faliva, con cui ho condiviso il brano La Terre et le Ciel, brano di sperimentazione con voce, fisarmonica e elettronica.
Qualche dettaglio sul CD e sui brani che hai scritto?
I brani sono nove come settembre, il mio mese. La copertina del CD è stupenda, cercavo un ritratto di bellezze floreali e il fotografo, Mario Lunetti, mi propose questa magia, degli splendidi papaveri rossi del campo in uno sfondo grigio scuro. Guardo spesso questi piccoli fiori, delicati, potrebbero essere spazzati via in un attimo, ma le loro radici ben salde nel terreno mostrano tutta la loro forza e il loro coraggio. Guardo anche gli essere umani, che non posso definire diversamente che un’ombra, brillano troppo spesso per la loro malvagità e il nostro futuro appare incerto. Ogni composizione entra in questa bellezza e in questa incertezza, ognuna riflette la luce e l’ombra. Sempre e La Terre et le Ciel, che aprono e chiudono l’album, rappresentano l’Inizio e la fine della mia poetica e in entrambi compare lo stesso refrain strumentale. In Sempre ho voluto riservare un posto d’onore alla mia fisarmonica, protagonista per la sua enorme forza espressiva, che racchiude in sé la fonte della vita: il Respiro. I suoni lunghi, dilatati prendono forma con il movimento del corpo nell’aprire e nel chiudere il mantice, un incantesimo in cui ci si sente avvolti da una massa sonora densa, traboccante di armonici, come solo lo strumento a mantice può regalare. La Terre et le Ciel, con la sperimentazione elettronica, si ispira al mio studio della musica contemporanea, aspetto che traspare anche in altri brani dell’album come Cortango e il Treno, e raffigura la ricerca dell’individuo nei passi della vita. Prière dans la nuit per voce e quartetto d’archi racconta le mie passeggiate notturne nella mia città, da Rio Marin a San Marco contemplo il tempo che qui si è fermato e il mio pensiero diventa preghiera…; Le diable ça va è un omaggio al cantautore Jacques Brel, una mia rielaborazione del suo primo successo, che, a distanza di settant’anni, descrive perfettamente il nostro presente e poi Valse Lunaire, Promenade, Le Tarn…
Quanto ha inciso il luogo in cui abiti nel tuo modo di scrivere?
Potrei dire i luoghi…. La Francia, dove sono cresciuta, per la sua multiculturalità, l’essere a contatto sin dalla prima infanzia con compagni di origine africana, antillese, maghrebina, italiani, portoghesi, il suono della loro lingua, andare al mercato e trovare le bancarelle con la loro musica e le cassette (oggi reliquie) che regolarmente compravo… tanti mondi sonori nella mia testa. L’altopiano di Asiago, una casetta di montagna a 1057 metri di altezza, il silenzio, la neve, l’estate breve e ventosa, la bellezza impareggiabile della natura e l’incontro con il suo Creatore. Il luogo in cui abitavo mi permetteva di avere una visuale panoramica straordinaria, quando il vento spazzolava bene l’aria, potevo scorgere l’orizzonte acqueo della laguna veneziana. Venezia, meraviglia che non si finisce mai di contemplare. Mi sorprendo sempre della capacità umana nel saper costruire con le proprie mani magnificenza, ma non finisce qui: lo specchio lagunare in cui Venezia vive è spettacolare, i colori, i riflessi continuamente diversi catturano l’occhio, la mente e lo spirito. Contemplo sempre il sottile confine tra l’acqua e il cielo, una linea di contatto verso l’Ineffabile. Devo dire che le foto di Mario Lunetti nel video promo dell’album e nel mio CD evocano con chiarezza l’incantesimo veneziano e, in generale, il prodigio del Creato. Questi luoghi sono capisaldi di creatività nella mia scrittura musicale.
Quali sono le tappe del tuo percorso di vita, musicale e non solo, che consideri fondamentali? Quali le trasformazioni che hanno suscitato e quali i cambi di prospettiva?
Domanda impegnativa… Ho percorso varie tappe in modo abbastanza originale, perché ogni volta queste tappe sono state delle virate di bordo per tagliare l’onda inquieta del mio mare interiore. Una continua volontà di ricerca che mi caratterizza sin dalla tenera età. Una prima tappa formativa è stata la mia famiglia nel periodo dell’infanzia. In casa avevo tre fratelli più grandi e due muse, mia sorella più grande di me di quasi sedici anni e mia madre, entrambe frizzanti, caleidoscopiche, entrambe “pazze” per la musica e per il ballo. Il loro canto risuonava in tutte le pareti della casa, ma anche le risate, sonore, spontanee. Entrambe mi fecero inconsapevolmente un gran regalo, glissarono nel mio cuore una relazione speciale con il mondo dei suoni che poi entrarono nel mio studio quotidiano con la fisarmonica dagli otto anni in poi. Un’altra tappa è stata più avanti nel tempo, quando feci l’incontro della cultura underground. Tutto derivò da quella mia consueta e incontenibile curiosità! Sin da piccolissima adoravo frugare nell’armadio di mia sorella e farmi comprare dai miei genitori o fratelli dei 45 giri o 33 giri di band straniere che sentivo in radio o vedevo in TV, e così per tutti gli anni a seguire. Verso i miei diciassette anni avevo una sfrenata voglia di scoprire ciò che non si sentiva dappertutto. Gli anni Ottanta avevano prodotto tendenze giovanili successive al movimento punk del decennio precedente, parecchio innovative e in particolar modo nell’underground musicale in cui circolava generalmente musica autoprodotta e distribuita da piccole etichette indipendenti. Tra fine anni Ottanta e anni Novanta c’era un fervore culturale forte, l’underground offriva vigorose opportunità per nuove produzioni musicali, potremmo dire anche di sperimentazione. Nella mia città c’era un piccolo negoziante di vinili e CD molto fornito di musica indipendente UK e tedesca, Nord Europa, in parte degli USA. Lì potevo scoprire di tutto. Così, per un po’ di tempo, la mia fisarmonica prese un periodo di riposo, il mio nuovo orizzonte era ascoltare, vedere, fare musica con altri strumenti, frequentare questi circuiti in Francia, Germania, Italia. Nel frattempo, si era sparsa la voce che suonavo la fisarmonica e varie formazioni mi chiamarono. La mia pausa meditativa non aveva compromesso le mie capacità esecutive, anzi, sentivo bene lo strumento sotto le mie dita e la forza del mantice con maggiore chiarezza. Era stimolante e mi sentivo più motivata di prima, essere fisarmonicista era una carta in più! Una terza tappa avviene fine anni Novanta, ormai abitavo in Italia. Dopo molti concerti con musicisti formidabili, riprendo i miei studi accademici. Per una fortuita coincidenza incontro Francesco Visentin, successivamente Patrizia Angeloni e scopro la fisarmonica da concerto. Con entusiasmo studio, mi diplomo una prima volta e poi una seconda. Parallelamente, m’interesso di etnomusicologia, in particolare delle tradizioni appartenenti all’area del Mediterraneo, incontro il mondo del teatro e suono per varie produzioni teatrali. Una somma di incontri significativi hanno attraversato la mia strada, e tutti hanno acceso nella mia mente molti riflettori musicali, creando quella versatilità di cui non posso fare a meno.
Puoi descrivere la tua relazione con la fisarmonica?
Una relazione felice! Ho sempre dichiarato che lei è il mio vestito, ma confesso che in certi momenti è subentrata anche la collera, soprattutto per gli spostamenti a Venezia o fuori da Venezia, non avere l’auto sotto casa fa la differenza… Scherzi a parte, il rapporto è sempre stato scorrevole, amo suonare la fisarmonica da sempre e l’ho sempre fatto con grande facilità dagli anni della formazione in poi. Mi fa sorridere il ricordo colorato dei vari strumenti che ho abbracciato negli anni: la prima, una Fratelli Crosio argento paillettes bellissima, la seconda una Lucchini blu, per i miei studi classici una Zerosette nera sostituita poi da una Borsini nera. Nel frattempo, un regalo di mio fratello, una Zerosette rossa con un leggero velo di paillette, una piccola Todaro nera a note singole a sinistra, uno strumentino leggero da battaglia. Riconosco che la fisarmonica da concerto offre tante possibilità, repertori stimolanti dalla letteratura antica alla musica contemporanea, un ampio spettro sonoro, un immaginario ricco di creatività sapendolo gestire con arte, è efficace per la composizione quanto il pianoforte, ma non ho mai voluto mitizzare il mio strumento. Ascoltare i suoi interpreti con attenzione e interesse, sì, magari con maggior intensità in periodi circoscritti, ma più di tutto prediligo comprendere e conoscere tutti gli strumenti, capire le differenze timbriche, le possibilità esecutive, la pluralità dei repertori, come ho avuto modo di raccontare nelle mie esperienze. La ritengo un meraviglioso mezzo sonoro per esprimermi con capacità e ne sono felice; al tempo stesso, sento il bisogno di vagare anche altrove… suonare più strumenti in generi differenti mi nutre mentalmente ed è utile capire le differenti prassi esecutive per comporre.
Sembra sempre più difficile poter essere musicista al giorno d’oggi. Qual è la tua impressione?
Possiamo dare le solite risposte che conosciamo a memoria, ma io andrei ancora più in fondo. In questa fase storica, molte cose sono diventate finalmente trasparenti: la funzione dell’arte è stata chiarita una volta per tutte a voce alta, ovvero NULLA, azzerata, questo è il valore che le è stato riconosciuto, sprangata nel nome di una sicurezza, ovvero quella di svuotare totalmente i luoghi di riflessione culturale e le vie delle città, allorché alternative adeguate potevano essere individuate. Nemmeno nel maggio 1945, durante il bombardamento dell’Armata Rossa sulla capitale tedesca, l’orchestra filarmonica di Berlino interruppe la sua esecuzione della Sinfonia n.5 di Ludwig Van Beethoven che stava eseguendo nella sala Radio della capitale. Difficile riconoscere la ragione d’esser musicista oggi in questo contesto… un mercato oligopolistico che monetizza ogni aspetto della vita e detta le regole di sopravvivenza, non verso il merito, ma verso la produttività, verso il frastuono, verso una sterilità di contenuti e di stili. II denaro ci ha asservito. Viviamo un galoppo in accelerazione inarrestabile, con un’industria culturale imperante che spalma a furia di mass media un condizionamento a tappeto e io posso dire che proprio per questo ho il desiderio di fare arte più di prima, per reagire a quanto sta accadendo. Se facciamo due passi indietro, nell’etimologia troviamo il significato della parola arte come Tekhnè dal greco (τεχνη), ovvero abilità manuale e artigianale che in sé implica anche la creazione in quanto innovazione, la ricerca del bello. Basta guardare il Rinascimento italiano e non solo… Pertanto, una riflessione deontologica (chi siamo, cosa fare oggi) non sarebbe fuori luogo. Venga pure la funzione aggregativa, ma se avvenisse in nome dell’elevazione delle menti e non del loro abbrutimento, probabilmente andremmo verso un mondo migliore. E per quanto riguarda i concerti on line, personalmente non ne vedo il senso, suonare non può esistere senza gli sguardi, i sorrisi, gli applausi, i respiri, i corpi e i commenti estemporanei della gente. Qualcuno dice che per creare dobbiamo “tornare nelle cantine” e io aggiungo “tornare sulle strade a suonare” per sentirci vivi e relazionarci con la gente.
Una cascata di capelli rossi ricade sul mantice; lo sguardo e il sorriso molto rivelano e molto altro lasciano presagire mentre la gestualitá strumentale racconta un viaggio senza sosta attraverso le pieghe della musica.
Non è la solita figura femminile che, ahimè, dagli spot pubblicitari ammicca verso i nostri occhi ormai assuefatti e indifferenti. E' Miranda Cortes, musicista francese dalla poliedrica professionalitá: fisarmonicista (che non disdegna altri strumenti), cantante, improvvisatrice, compositrice, attrice.
La incontriamo sui palchi di mezzo mondo come leader de LA FRONTERA, il gruppo di world music che ha fondato nel 2001 e con cui ha inciso diversi dischi; non è raro riconoscerla in una di quelle sessioni di improvvisazioni tanto care ai musicisti che, in ogni dove, improvvisando senza pronunciare una sola parola, si incontrano si conoscono e si dicono arrivederci a chissá quando; la ritroviamo in una molteplicitá di organici strumentali, spaziando in modo decisamente personale tra il blues, swing, klezmer, ska, tango, ritmiche mediorientali ed etniche in genere.
In contesti in cui la Musica è sempre la vera protagonista, la Cortes colloca la fisarmonica in un ruolo primario anche quando corale, consegnandole una veste lontana dalla mera nota di colore che troppo spesso nella world music risulta tanto suadente quanto marginale. Ma non è difficile ascoltare Miranda Cortes anche come fisarmonicista impegnata in un programma solistico di musica "colta", o in teatro, in collaborazioni con poeti e scrittori, o scorgere la sua tacita presenza come discente in uno dei tanti corsi che risponde al suo desiderio di imparare ancora.
Un percorso artistico e professionale fuori dagli schemi, chiaramente animato da una sorta di continua ricerca e sorretto da una solida preparazione musicale e culturale; una versatilitá e una presenza musicale di rara originalitá, riconosciute più volte dalla critica insieme a quel grande carisma che facilmente si attribuisce ad una fascinosa presenza scenica ma che affonda le sue vere radici nella autenticitá della esperienza umana e musicale.
Musicista, cantante, attrice: come si forma Miranda Cortes? Riconosci una formazione "altra" rispetto ai cosidetti studi accademici? (intenderei chiedere quali sono gli studi compiuti, formalizzati e non da un titolo di studio e poi cosa riconosci come formativo del pensiero, della persona e della professionalitá nella globalitá della tua esperienza).
A mio parere la formazione musicale di una persona non è una questione di standard "accademici" o "non accademici", ognuno di noi è il risultato di incontri e di apprendimenti, che possono aver spianato una strada creativa- artistica oppure possono averla sotterrata. Chi ha avuto l'opportunitá sin da piccolo di stare con delle persone o in situazioni ricche di stimoli, d'incoraggiamento alla ricerca della propria identitá, ha inevitabilmente arricchito e formato il proprio bagaglio culturale, esistenziale,conoscitivo e artistico e la musica ha trovato un suo posto.
Spesso è una questione di fortuna e/o di soldi, non è poetico dirlo ma è una constatazione.
La mia formazione musicale ? Mah, molto sinuosa direi, ho iniziato a 8 anni e interrotto a 16 , per tante ragioni, poi ho continuato a mantenere un connessione molto forte, anzi più forte di prima, con la musica in genere, cioè con tutto quello che poteva capitarmi sotto le mani. A 20 anni ho conosciuto una formazione che ha illuminato il mio sentire l' "oggetto fisarmonica" e mi ha ridato voglia di suonare : Les Negresses Vertes, un gruppo parigino pop-gitano (difficile definire il genere), dove la fisarmonica oltre ad essere protagonista, aveva un suono bellissimo, un suono diverso dal solito.
Questo è stato il mio trampolino di lancio per ricominciare a suonare, e sono iniziati per gioco dei ritrovi con amici, tante esperienze diverse, finchè l'impegno musicale è diventato sempre più organizzato. Ho avuto l'opportunitá di suonare con molti musicisti in varie formazioni folk, pop, rock, cantautoriale,etnico e ad un certo momento ho pensato che mi mancava un tassello per completare ilmio quadro e quindi ( dopo un po' di anni) mi sono diplomata in fisarmonica classica.
Nel frattempo ho continuato a sperimentare vari linguaggi musicali tramite varie collaborazioni, tra cui anche quello teatrale con Ivano Marescotti, Giorgio Fabbris, Giuseppe Gentile.
Dal 2009 con Armando Carrara stiamo portando in giro uno spettacolo prodotto dalla Compagnia teatrale La Piccionaia, in cui suono, recito e canto. La voce è un altra passione che mi sta catturando sempre di più, ma forse è meglio fermarsi qui...
Quali sono le radici della tua passione per la fisarmonica?
Nessuna, ovvero il mio debutto musicale non si ricollega alla passione per la fisarmonica; un bel giorno mio padre venne da me e mi disse "abbiamo deciso che comincerai a studiare la musica, quale strumento vuoi imparare, puoi scegliere il pianoforte o la fisarmonica, però la fisarmonica ce l'abbiamo giá!".
Io non conoscevo la differenza tra questi due strumenti, ma visto che tutti e due rimandavano ad una cosa che mi piaceva molto, la musica, acconsentii benevolmente per la fisarmonica. In fondo passavo delle ore a ballare, ballare da sola, per il piacere di muovermi con il ritmo, utilizzavo tutta la musica che trovavo in casa, i dischi dei miei fratelli, di mia sorella maggiore, chiedevo ai miei genitori di comprare i dischi dei gruppi che passavano in TV , i Supertramp, il funky americano, e poi mi scatenavo davanti allo specchio.
Mia madre e mia sorella cantavano spesso canzoni francesi , mia madre era innamorata di un gruppo "straniero" i "Boney M" e non conoscendo l' inglese, chiedeva a me di cantare le loro canzoni simulando il suono delle parole. Mi sembrava strano, ma per farla contenta, lo facevo. Quindi diciamo che sin dall'inizio ho avuto una forte passione per la musica in genere , non in particolare per la fisarmonica.
I tuoi programmi musicali si basano su un repertorio molto ampio che attraversa diversi stili e generi musicali. C'è un filo rosso che unisce questa varietá? E allora: cos'è la Musica per Miranda Cortes?
Si, ora posso rispondere che il filo rosso sono io, cioè la mia identitá.... dico ora, perchè non è stato automatico capire questa cosa. Ci sono stati dei momenti in cui consideravo la fisarmonica il filo conduttore, infatti soprattutto nei concerti solistici ho sempre tentato di proporre un repertorio che facesse conoscere le molte facce di questo strumento, inserendo sia brani di trascrizione classica, musica contemporanea, variété.
Oggi sono convinta che la fisarmonica sia un vestito, mi consente di accedere al mondo dei suoni e di esprimermi con esso. Ma gli strumenti sono un mezzo, sono degli oggetti utili per comunicare con il linguaggio dei suoni, niente di più ; la musica è nella testa, non nell'oggetto. Per questo ritengo sia utile una certa poliedricitá strumentale, fare in modo che le persone possano suonare più di uno strumento e che possano avere un contatto fisico con esperienze strumentali diverse.
Quindi che cos'è la musica ? qualcuno ha detto: " è un gioco di bambini", tutto sommato confermo, la musica è un continuo gioco di esplorazioni, di ricerca, è una terapia psicologica e fisica, è un'esigenza profonda che tutti noi portiamo dentro.
La frequentazione di generi musicali diversi richiede un uso diverso dello stesso strumento. Un incontro o uno scontro?
Dipende dalla persona e dall'umore della giornata.... la pratica di generi diversi rappresenta una fonte di ricchezza inestimabile per il musicista, che in questo modo è obbligato a sforzarsi e a sviluppare una sensibilitá e un ascolto molto attento ai contesti sonori dove si ritrova.
E' come parlare il francese, l'inglese, lo spagnolo, il tedesco, il fiammingo e l'arabo. Anche lo strumento viene utilizzato in modo diverso a seconda di quello che si suona, ma non in virtù di chissá quali difficili tecniche , ma di un pensiero musicale con una certa direzione da seguire. Il resto va da sé. Questo significa mettersi in gioco, scontrarsi per incontrare quello che non si conosce e provare a sperimentarlo, anche se succede una catastrofe.
Diventa uno scontro vero e proprio quando la specializzazione di una persona in un unico genere lo vincola al punto tale da non aver più la flessibilitá e quindi la capacitá di incontrare altri stili e di modificare il proprio modo di suonare e l'utilizzo dello strumento.
Mi viene in mente un musicista classico standard vincolato a partiture, un jazzista che non sa suonare altro che il jazz, un musicista rock che non va oltre il rock e così via. Intendo dire che la musica di per sé non è a compartimenti stagni, ma è unica, universale, il mondo dei suoni è a disposizione di tutti, sta a noi saper "navigare" in mezzo a questi suoni senza contratture mentali e fisiche e saperli combinare. Questo non significa che un musicista non maturi la giusta ragione di scegliere un certo ambito musicale piuttosto che un altro per motivi x, ma dovrebbe essere un passo successivo, ovvero il risultato consapevole di un percorso, di un'esplorazione sonora e strumentale e non una selezione a priori, e quindi inconsapevole.
Raramente nelle tue performance, manca l' "improvvisazione"
Anzi c'è sempre di più! l'improvvisazione è una pratica molto antica della storia musicale umana, per me rappresenta un mezzo per poter essere e stare nella musica, un modo per presentarmi e per parlare con me stessa e con l'ascoltatore. Di solito inizio da un tema conosciuto o anche no, poco importa, e poi mi lascio andare, con un sentimento giocoso del vedere cosa succede. Per questo motivo le mie improvvisazioni musicali non richiamano esplicitamente un codice musicale piuttosto che un altro, è un momento personale nel quale chiacchero con i suoni.
Nel 2001 nasce La Frontera, gruppo musicale di cui sei fondatrice: qual è la vostra proposta musicale e la sua evoluzione?
Si, ho messo in piedi questa formazione perchè avevo voglia di condividere con altre persone la mia voglia di ricerca sonora, e ho incontrato dei musicisti veramente molto bravi che hanno saputo incentivare questa finalitá. I primi 2 Cd che abbiamo registrato insieme, "La musica dei Popoli" e "Mar Bianco" sono il frutto delle nostre ricerche etnomusicali; con il primo album abbiamo indagato le sonoritá sudamericane, celtiche, balcaniche, con il secondo abbiamo approfondito in modo particolare la musica mediorientale dell'area maghrebina e del vicino Oriente. Il terzo Cd "Ferme tes yeux" ( che significa: Chiudi i tuoi occhi) tratta ancora la ricerca musicale mediorientale , per la quale ci eravamo appassionati in modo particolare, ma vede anche l'inserimento di brani originali scritti da me e dal chitarrista Michele Pucci. Sempre per un proposito di ricerca , in questo cd, abbiamo inserito la collaborazione di Ferdinando Ravazzolo, in arte Efer-Dee, per la contaminazione di sonoritá e loops elettronici. Diciamo che la ricerca è stata fondamentale nell'evoluzione di questa formazione; il conoscere culture musicali differenti ci ha permesso di sviluppare una forte agilitá musicale e allo stesso tempo un'intensa originalitá , che sempre di più ci stimola a scrivere composizioni nostre.
Come si costruisce il tuo repertorio etnico? (ricerca e/o riproduzione, filologia possibile o no, e tutto quello che c'è e che ti va di dire)
Posso dire che il mio desiderio di conoscere e approfondire culture musicali differenti abbia influenzato il mio repertorio musicale. Tutto questo risale al contesto multietnico nel quale sono cresciuta; abitavo in Francia e fino agli anni dell'Universitá le mie amicizie erano legate a persone provenienti dal Congo, dal Senegal,dalle Antille, dall'Algeria, Marocco, Tunisia, Grecia, e così via.... Sono sempre stata a contatto con la multiculturalitá, e devo dire che quando mi sono trasferita in Veneto questo aspetto mi è mancato. Nei repertori che abbiamo preso in considerazione la fisarmonica c'era e non c'era. Laddove era presente, naturalmente la comprensione e l'assimilazione del fraseggio musicale è stato più accessibile. Nella musica mediorientale ho dovuto dedicarmi ad un lavoro più laborioso di riarrangiamenti soprattutto per i brani antichi suonati con strumenti tradizionali. Nel Maghreb e in Medioriente in genere, la fisarmonica venne utilizzata nella musica Ra?, cioè dagli anni '60 in poi, ma non è uno strumento protagonista come il violino, l "oud", le percussioni il flauto. Comunque, per una questione di coerenza ,con "La Frontera" non abbiamo fatto un lavoro di imitazione del materiale analizzato, il nostro obiettivo non era la filologia, perchè non sarebbe stato coerente con la nostra matrice culturale occidentale, cioè con le nostre identitá. Perciò spesso nei brani compare anche una nostra personale rielaborazione derivata dalla nostra formazione culturale e musicale.
Che relazione c'è tra la fisarmonica e le culture musicali del Mediterraneo?
La fisarmonica è giá presente in molte culture musicali del Mediterraneo, laddove non compare non è un grande problema perché la versatilitá timbrica e sonora di questo strumento gli permette di inserirsi agevolmente dappertutto.
Ritieni possibile e credibile - e come - l'esecuzione di un repertorio appartenente a culture diverse da quella di appartenenza?
Per quanto mi riguarda tutto è possibile...... comunque hai toccato un tasto interessante. Nella mia esperienza personale di musicista e con i La Frontera ho voluto sperimentare e capire questo aspetto. Qualsiasi musicista può immergersi in una cultura musicale cogliendone stile, tecniche, espressivitá, e in questo senso gli diventa possibile acquisire una certa confidenza musicale e grandi soddisfazioni. Si interpone però il fattore identitá, del dove siamo nati e dove siamo cresciuti. Per fare un esempio, un musicista flamenco italiano, pur nella sua bravura , non suonerá mai come un musicista flamenco gitano. La musica che ascoltiamo sin dai primi anni vita ci rimane scolpita nella mente. Però è anche giusto che sia così, altrimenti saremmo dei replicanti ; ognuno esprime con le proprie capacitá anche la cultura dalla quale proviene, e per questo motivo ognuno nella sua unicitá ha qualcosa da dire e diventa motivo d'interesse credibile.
Nel progetto musicale che chiami MirMusette, Omaggio a Jo Privat, viene rievocata la effervescente atmosfera della Parigi degli anni '40 e '50. Vorresti raccontarcela? E come si articola il tuo programma musicale in questa rievocazione?
E' il periodo d'Oro dell'Accordéon in Francia, Parigi era piena di locali, localetti, ogni luogo aveva le sue orchestre: fisarmonicisti con contrabbassisti, chitarristi manouche, violinisti, un periodo colmo di musica. Jo Privat, ma non solo lui, era un fisarmonicista celebre di quel periodo ,suonava anche con Django Reinhardt e continuò fino agli anni 70. Era un pioniere del Jazzmusette, cioè il ballo popolare musette contaminato dal jazz americano. Poi c'erano i "chansonniers" esistenzialisti come Piaf, Juliette Gréco, J.Brel, Brassens, Gainsbourg. Io sono molto affascinata da quel periodo perchè rievoca in un qualche modo una ereditá famigliare e anche un momento storico , nel quale le persone avevano voglia di incontrarsi per fare qualcosa insieme e ogni forma creativa trovava il suo spazio. Quando suono questo repertorio alterno sia brani strumentali che cantati e rievoco quell'atmosfera.
La tua intensa attivitá concertistica ti porta ad incontrare un pubblico molteplice, per gusti musicali e provenienza culturale. E' sempre possibile quella comunicazione diretta e profonda che la buona riuscita di ogni concerto richiede?
Il bello è che non si sa mai a che cosa si va incontro! Però un criterio fondamentale esiste: occorre stabilire una relazione con il pubblico, per questo il musicista diventa il tramite tra informazioni sonore e ascoltatori e ha la responsabilitá di favorire un ascolto attivo, una partecipazione degli spettatori. La partecipazione può essere pluriforme, suscitare sentimenti di consenso o di dissenso, l'importante è che non produca noia e sonnolenza, ovvero indifferenza. Quando le persone vengono a complimentarsi con me alla fine dei miei concerti, m'interessa capire se è avvenuto questo meccanismo e chi mi dice : "sembrava che la fisarmonica parlasse" mi rende felice. Di per sé il musicista o il compositore è figlio del suo tempo, non inventa niente, lui non fa altro che combinare, contaminare quello che c'è giá e trasmettere. Diceva bene Lavoisier "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma".
Progetti in preparazione?
I progetti ce ne sono......sono diversi sia in ambito musicale che in ambito didattico. Sto preparando una pubblicazione didattica che permetta di avvicinare il percorso formativo dei più giovani a culture musicali diverse da quella classica-contemporanea, in modo da proporre ai giovani musicisti una più ampia scelta di apprendimenti tecnici espressivi. Dal punto di vista musicale ho scritto dei brani strumentali e cantati che vorrei riuscire a pubblicare in un Cd appena possibile ; dovrebbe uscire tra poco il disco che ho registrato con la mia compagna di viaggi Marianne Wade, violinista, è un duo al quale tengo in modo particolare perchè abbiamo sviluppato una speciale complicitá musicale. Insieme esploriamo il repertorio di confine tra trascrizione classica e dominio pubblico. Infine con il compositore di musica elettronica Ferdinando Ravazzolo stiamo lavorando insieme ad un nuovo cd.